PERCORSI/A zonzo con Tarpea: la chiesa di S. Maria Antiqua

Posta alla base del colle Palatino, ai margini del Foro Romano, troviamo la chiesa di S. Maria Antiqua, una chiesa dalla storia molto particolare. Come già visto altrove, anche nel nostro caso per l’allestimento della nuova chiesa fu scelto un edificio dell’antica Roma ormai abbandonato, riutilizzandone alcuni ambienti.

Si tratta di un edificio che faceva parte di un complesso risalente all’età degli imperatori Flavii (fine I sec. d.C.), che collegava il fondovalle del Foro Romano al sovrastante palazzo imperiale: la Domus Tiberiana, la sfarzosa residenza della gens giulio-claudia, usata in seguito anche dalle corti degli altri imperatori. La rampa di collegamento, percorsa in antico anche dai carri, nella sua prima parte è ancora perfettamente conservata e si può visitare.

La chiesa sorse nella seconda metà del VI secolo d.C. ed è, insieme a quella dei SS. Cosma e Damiano, una delle più antiche chiese del Foro Romano e fin dall’inizio fu dedicata alla Madonna. In seguito fu continuamente restaurata e abbellita dai papi, fino all’anno 847, quando un violento terremoto la fece crollare, rendendo inevitabile il suo abbandono.

Col passare del tempo, crescendo il livello del terreno al di sopra delle macerie, della chiesa che sorgeva in questo luogo si perse presto la memoria.

Fino al momento in cui, nel 1899, Giacomo Boni, famosissimo archeologo dell’epoca, ebbe il sospetto che sotto la chiesa di S. Maria Liberatrice, sorta proprio in quel punto nel XIII secolo, si nascondesse ben altro tesoro d’arte e antichità. La determinazione di Boni fu tale da convincere le autorità a demolire (!) per intero la chiesa moderna, per poi ricostruirla altrove (nel quartiere Testaccio) e consentire l’indagine archeologica.

Gli scavi archeologici riportano così alla luce un fantastico corredo di pitture di altissima qualità che si erano conservate così com’erano al momento del suo abbandono. Il seppellimento sotto gli strati di crollo aveva infatti risparmiato quelle pareti dipinte sopravvissute al terremoto dalle profonde alterazioni, dovute all’esposizione a sole pioggia e vento, che hanno interessato invece tanti altri monumenti di Roma. La notizia della scoperta fece il giro del mondo e moltissimi furono gli articoli pubblicati sui giornali e sulle riviste dell’epoca.

Maria Antiqua è così ricca di affreschi da essere chiamata dagli studiosi “la Cappella Sistina dell’Alto Medioevo”. I papi, che ordinavano l’esecuzione delle pitture sulle pareti, non si facevano scrupolo di cancellare le vecchie pitture facendovi ridipingere sopra nuovi soggetti. In particolare si nota che spesso, a S. Maria Antiqua, le pitture si sovrappongono strato dopo strato, anche nell’arco di pochi decenni. E sul lato destro dell’abside centrale di S. Maria Antiqua abbiamo un caso esemplare di questo fenomeno, un affresco chiamato “parete palinsesto”. Il palinsesto era infatti il nome dato agli antichi codici di pergamena che venivano continuamente cancellati e riscritti dai frati amanuensi.

La “parete palinsesto”. 

Il primo strato di pittura, cioè il più antico, raffigura la Madonna in trono col Bambino e un Angelo. La Madonna, con il suo vestito e il trono completamente ricoperti di gemme preziose, ricorda da vicino una regina gota o un’imperatrice bizantina, ossia di Bisanzio, la Costantinopoli degli antichi Romani. Infatti, il dipinto risale al periodo in cui l’imperatore Giustiniano riconquistò l’Italia dopo la dominazione dei Goti, fra il 530 e il 540 d.C.

Pochi anni più tardi, negli anni fra il 570 e il 580 d.C., la chiesa di S. Maria subì una profonda trasformazione: il piccolo oratorio (un ambiente riservato alla preghiera) usato dai Bizantini venne trasformato in una chiesa vera e propria con l’apertura di un’abside. In occasione di questi lavori, la pittura con Maria Regina tra Angeli fu sostituita e coperta da una scena di Annunciazione, di cui oggi rimangono solo due piccoli frammenti.

Oggi possiamo vedere solo il volto della Vergine e, a destra, la straordinaria figura di un angelo, che è stato ribattezzato “Angelo Bello”, tanto la sua fattura risulta accurata e attenta a rappresentare la morbidezza dello sguardo e dell’incarnato del volto.

Se mettiamo a confronto questa pittura con quella di Maria Regina, ci accorgiamo subito che qui si parla un nuovo linguaggio artistico: Maria Regina ha uno sguardo fisso, perso nel vuoto e ci appare lontana nella sua regalità; l’Angelo Bello, invece, non è più visto frontalmente, bensì girato di tre quarti, con uno sguardo né fisso né ultraterreno ma vivo e reale, in relazione con la Vergine con cui sta parlando.

Nella figura qui sopra, abbiamo messo a confronto l’immagine di Maria Regina come la vediamo oggi in S. Maria Antiqua nella “parete palinsesto ” (a sinistra) con l’immagine contemporanea dell’Imperatrice Teodora (a destra),  moglie dell’imperatore Giustiniano, raffigurata nel mosaico di S. Vitale a Ravenna. Nota le somiglianze: tutte e due le figure sono presentate di fronte con  gli occhi fissi in avanti e il vestito e il copricapo che indossano entrambe sono tempestati di gemme preziose.

Nella chiesa sono conservati anche altri reperti trovati durante gli scavi e tra questi a Tarpea piace molto il sarcofago di epoca romana che racconta in parte, attraverso i rilievi scolpiti sulla parete della “vasca”, la curiosa storia biblica del profeta Giona e la balena.

Giona è stato un  profeta ebraico, vissuto quasi al tempo di Romolo tra il IX e l’VIII secolo a.C.; nella Bibbia leggiamo che un giorno il Signore comanda a Giona, figlio di Amittai, di andare a predicare a Ninive, città della Mesopotamia, i cui abitanti erano contrari ad adorare Dio. Giona invece non ne ha proprio voglia e fugge nella direzione opposta su una nave che è investita da un violentissimo temporale, rischiando di colare a picco. Giona allora comincia a sospettare che sia stato il Signore a scatenare quella tempesta per punire la sua disubbidienza, e svela ai marinai compagni di viaggio che, se rischiano di affondare, è proprio colpa sua.

I marinai infuriati non ci pensano un attimo di più e gettano subito Giona in mare, ma un “grande pesce” (uno squalo? un capodoglio? una balena? nessuno lo sa con certezza!) lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio un’intensa preghiera, finchè il pesce vomita Giona sulla spiaggia.

Salvatosi per grazia divina, Giona si rende conto che è meglio obbedire al Signore e va a predicare agli abitanti di Ninive. E questi gli credono, proclamano un digiuno, si vestono di sacco e Dio decide quindi di non distruggere più la città. E qui, ancora una volta, Giona si riscopre ribelle: lui non è per niente soddisfatto del perdono divino, al contrario, vorrebbe la punizione e la distruzione della città di Ninive… Così, molto deluso, chiede a Dio di farlo morire, ma dopo un lungo tira e molla, alla fine la spunta il Signore e Giona viene risparmiato…

 

La Chiesa di S. Maria Antiqua è attualmente chiusa per restauro; altrimenti visitabile con i biglietti Forum Pass SuperFull Experience (gli orari cambiano a seconda delle stagioni).
Per altre info e approfondimenti: S. Maria Antiqua e Oratorio dei Quaranta Martiri

Pagina a cura di Francesca Ioppi e Andrea Schiappelli.
Foto: Andrea Schiappelli; rielaborazioni grafiche: Silvio Costa.
Tarpea” è un character originale di Silvio Costa.

 




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